Nella pausa caffè, si sa, si chiacchiera del più del meno e soprattutto si spettegola. Metà dell’ufficio utilizza Tinder, l’altra metà è morbosamente curiosa e fa continue domande pseudo-sociologiche a chi lo usa.
Tra una riunione su Zoom e un aperitivo su Skype, dire di essersi conosciuti su una App di dating non è più così scandaloso: l’incontro virtuale, oggi, è considerato semplicemente più pratico.
È nata così l’idea di aprire un profilo per il Teatro su Tinder, il social più utilizzato in questo periodo di “distanza sociale” dai single (e non solo) a caccia di nuove conoscenze: una strategia di guerrilla marketing, certo; una provocazione, anche, ma non solo.
Come gli altri tinderini, anche il Teatro ha bisogno di fare nuove conoscenze e di incontrare persone che, ammettiamolo, non conosce affatto. Questa azione “sovversiva” vuole avvicinare e ingaggiare una nuova nicchia di pubblico potenziale, incentivare le conoscenze in presenza e riportare il pubblico ad abitare il Teatro. Come? Con un gesto romantico: omaggiando i match con due biglietti da sfruttare per il loro prossimo incontro – rigorosamente – dal vivo.
Della mia esperienza su questa app, forse mi porto a casa (e in uffico) qualche pettegolezzo in più.
Ho incontrato persone molto diverse tra loro, più uomini che donne, dai 30 ai 55 anni: la conversazione iniziava per la curiosità di scoprire chi si nasconde dietro un nick name così “teatrale” e finiva con dimostrazioni di sorpresa per l’iniziativa e reciproco piacere nell’aver condiviso il momento.
Con la domanda rompighiaccio “Ciao, ti piace il teatro? continuerò a swippare e matchare, finché Tinder me lo permetterà.